IL TARTUFO: UNA LUNGA STORIA TRA MITO E BONTA'
Il Re. Conosciuto fin dall’antichità da sempre destinato alle tavole dei più potenti della storia, ancora circondato dal suo alone di mistero e fascino.
ASSAGGI
Isabella Ceccarelli
9/24/2025


Tra mito e fonti storiche, il tartufo da sempre conosciuto, vive tra luci ed ombre come un mito. Nella Bibbia, in Giacobbe si legge che il tartufo faceva parte della cultura gastronomica degli Egiziani che lo preparavano in una ricetta di cucina: rivestito di grasso d'oca per cuocerlo in una sorta di cartoccio. La lunga storia d’amore tra uomo e tartufo inizia da molto lontano, gli storici, la fanno risalire a quasi 5.000 anni fa. Fonti storiografiche, attestano che furono i Babilonesi prima e, i Sumeri poi, a portare in tavola il tartufo. E’ presente in studi di botanica e di gastronomia degli antichi Greci: a loro lo fornivano gli asiatici e già a prezzi molto salati, tra il mito e il regale, soprattutto il tartufo bianco. Teofrasto, filosofo ed autore di una grandiosa 'Opera di Botanica', vissuto tra 372 e 287a.C., era convinto che nascesse 'dall'unione della pioggia con il fulmine; e poiché le saette le scagliava Giove, era sottinteso che la sua matrice fosse assolutamente divina. Con Archestrato di Gela, nel 330 a.C, poeta greco e contemporaneo di Aristotele, la cultura del cibo va verso una particolare attenzione per il gusto e verso l'arte della cucina, autore di una 'dolce vita', descrive i migliori cibi di Grecia; a lui, si rifanno molti scritti che riguardano il cibo e confluiscono nell'opera di Ateneo di Neucrati: 'i dotti a banchetto', la prelibatezza del cibo inizia a caratterizzare le mense e la ricerca dei prodotti, e anche il Tartufo viene considerato assolutamente prezioso.








Areteo Cappadocia, medico del I-II sec. d.C., di origine greca, esercitò a Roma presumibilmente sotto Nerone, metteva in guardia contro l'eccessivo consumo di tartufo che induceva in uno stato di 'voluttuosità'. Ma Giovenale, a cui quella voluttuosità non dispiaceva affatto, sosteneva che era meglio restare senza grano piuttosto che senza tartufi. Il prelibato tartufo, è menzionato da Porfirio di Tiro, filosofo neoplatonico, e dallo stesso Cicerone. Ma i tartufi erano apprezzati anche ai tempi di Marco Gavio Apicio, famoso buongustaio ed autore del più noto libro di gastronomia della letteratura latina, il 'De Re Coquinaria', ricordava che Nerone definì il tartufo “cibo degli dei”. Nella Naturalis Historia, Plinio il Vecchio sosteneva che il tartufo, a quel tempo definito tuber, fosse un prodotto miracoloso della natura in quanto nasce e cresce senza radici. Nello stesso secolo, il filosofo greco Plutarco di Cheronea riportò l’idea che il prezioso fungo ipogeo, nascesse dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini, che ispirò il poeta romano Giovenale, il quale attribuì la nascita del tartufo ad un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia, albero sacro al signore degli dei.
Petrarca ci fa comprendere quanto sia pregiato il tartufo e quanta importanza aveva nell'immaginario gastronomico medievale. Nel nono sonetto, il poeta invia un cestino di tartufi ad un amico e li descrive accostandoli alla sua bella, individuando nello sguardo della sua amata Laura, il fascino e la misticità del più nobile prodotto del bosco. ll Savonarola li consiglia come un “ottimo rimedio per i vecchi che abbiano una bella moglie", li considera nocivi e difficili da digerire, ma consiglia come cucinarli nel modo meno dannoso: sbucciarli, affettarli, lessarli e condirli in fine con sale e pepe; oppure soffriggere con olio sale e pepe, in padella come i funghi, sempre dopo averli sbucciati e affettati; oppure cuocerli nel vino.
I LUOGHI DEL MITO
Tra i luoghi maggiormente conosciuti che fin dal Medioevo sono rinomati per la ricerca ed il commercio dei tartufi emerge Casale Monferrato i cui tartufi, prima dell'annessione al Ducato di Savoia, erano destinati alla corte mantovana dei Gonzaga; si ha una grandissima quantità di notizie e documenti che esaltano l'intero Monferrato come luogo di produzione dei più eccellenti e profumati tartufi. Tortona, centro di rifornimento per i Visconti-Sforza di Milano. Degno di nota è il medico umbro Alfonso Ceccarelli, il quale scrisse un libro sul tartufo, l'Opusculus de tuberis (1564), dove riassume le opinioni di naturalisti greci e latini, insieme a diversi aneddoti storici: risulta facile notare che il tartufo è sempre stato cibo altamente apprezzato, soprattutto nelle mense di nobili ed alti prelati. Nel Settecento i tartufi piemontesi erano apprezzati al punto che i Savoia li utilizzavano come “dono diplomatico”, inviandoli presso tutte le corti europee. Fu il medico torinese Vittorio Pico, nel 1788, a definire il pregiatissimo tartufo bianco Tuber Magnatum, ovvero “tartufo dei potenti”. Da qui il nome botanico Tuber Magnatum Pico, riferito al pregiatissimo tartufo bianco, altrimenti conosciuto come Trifola derivante da quell’antico Terrae Tufole Ma il tartufo bianco d’Alba ha acquisito fama internazionale grazie a Giacomo Morra, fondatore di Tartufi Morra e ideatore della Fiera del tartufo d’Alba; a lui nel 1933 il giornale londinese The Times definì “Re dei Tartufi”, si deve l’idea di regalare, ogni anno, una grande trifola a uomini potenti di tutto il mondo o ad artisti famosi.
Plinio il Giovane, lo definisce un 'callo' della terra. Nella voluttuosa Roma di età imperiale, il tartufo era usato più che altro come afrodisiaco, 'philtrum quo vincerre mulierrum'; anche per questo era un cibo molto ricercato e prezioso che richiede cura e trattamenti elaborati per la sua preparazione, insomma un'attenzione unica, da re. Il legame con Giove, personaggio che nei miti brilla per una prodigiosa attività sessuale spinse, forse, il medico Galeno ad affermare che il tartufo possieda qualità afrodisiache: "il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà". Durante il Medioevo il tartufo perse parte della sua importanza a causa della situazione politica e degli orientamenti alimentari e culturali; inoltre la cultura eno-gastronomica chiusa nei conventi vede il tartufo escluso dalle mense dei monaci. Ma il prestigio del tartufo, non era del tutto perso: riservato a mense ed ospiti importanti dove i banchetti rappresentano momenti sociali di particolare importanza e valenza culturale, espressione dei simboli di nobiltà, di potere e prestigio. Il tartufo così non è del tutto escluso nemmeno nei conventi, ma solo riservato. Inizia a diffondersi il nome Tartufo, come volgarizzazione della parola tardolatina Terrae Tufer, escrescenza della terra: nel Codice Miniato, Taccuino sanitatis, risalente al XIV secolo, in testa ad un'illustrazione miniata dedicata alla raccolta del tartufo, troviamo il titolo: Terra tufule tubera. Il suo profumo, era considerato una sorta di “quintessenza” che provocava sull'essere umano un effetto estatico. Sul finire dell'anno Mille, il bizantino Psello, dedica una lettera intera (la numero 233) alle delizie di una bella mangiata di tartufi, dimenticando l'ammonimento di prescrizioni mediche che vogliono i tartufi come “prodotti che provocano cattivi succhi”, per cui sconsigliabili da mangiare. Mantennero la loro fama di cibo afrodisiaco anche nella cultura araba, tanto che il Muhtasid di Siviglia considera i tartufi come un cibo da dissoluti, e ne proibisce la vendita nei pressi della Moschea, dato che al prezioso fungo ipogeo veniva attribuita la capacità di “far ardere i lombi”, frutto della natura e del l'innata capacità afrodisiaca; se il precetto non veniva seguito si poteva essere scomunicati. Si conoscevano diversi tipi di Tartufi, ma il Tartufo bianco, anche durante i secoli del Medioevo, era considerato quello di maggiore prestigio e venduto al prezzo più caro (più di mezzo scudo d'oro la libbra). Come è noto, e non è una leggenda, venivano cercati con i maiali, ed erano utilizzate le scrofe. Ma questo sarà un altro racconto da tartufaio.
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